BLOG APERTO A TUTTI!!

"AUTUNNO" foto di Attilio Pietrogiovanna

AGNER e DINTORNI , vuole essere uno spazio a disposizione di abitanti e frequentatori di questi luoghi.
Ovviamente questo vale anche per associazioni, amministratori locali e per tutti coloro abbiano da proporre tematiche inerenti l'Agordino.
E sopratutto vogliano promuovere tante lodevoli iniziative spesso note ai soli abitanti del paese in cui si svolgono!

Inviateci tramite e-mail il programma di quanto organizzate, con molto piacere, sarà inserito quanto prima su Agner & Dintorni..


lunedì 22 novembre 2010

La galleria fotografica


(Per vederle le immagini in maniera estesa basta cliccarvi sopra)

DIGOMAN CASA CON AFFRESCO
FOTO 
DI GIORGIO CASERA

L'AGNER VISTO DA VOLTAGO AGORDINO
FOTO DI 
DINO MANCHIERO


EL COR
FOTO DI 
DANILO BENGNU'

PARCO LAGHETTI DI FRASSENE' AGORDINO
FOTO DI
MANUEL CONEDERA


MONTI DEL SOLE E FERUCH 
TRA LE ONDE DEL MARE
FOTO DI 
GIULIO FECCHIO


LARES
FOTO DI 
DINO MANCHIERO




IN QUOTA
FOTO DI
DANILO BENVEGNU'


BUON APPETITO
FOTO DI 
GIORGIO CASERA


LADIN DEL POI CHE BALA E BETIN BULI 
DI LA VALLE AGORDINA
FOTO DI
DUILIO DA CAMPO



PANORAMA DA DIGOMAN
FOTO DI
SERGIO GROSSO


SALENDO SULLA GRODA GRANDE
FOTO DI 
GIOCONDO DALLE FESTE


POLENTA 
FOTO DI
ANDREA MONFERONE



Queste sono solo alcune delle immagini visibili nella GALLERIA FOTOGRAFICA, per visualizzarle con semplicità in maniera estesa, si consiglia di utilizzare il pulsante SLIDESHOW posizionato nella parte alta a sinistra della pagina che raggruppa tutte foto.

Si ricorda inoltre che vi sono due modalità per veder pubblicate le proprie foto relative alla conca Agordina su Agner e Dintorni:
1)Potete caricarle direttamente voi, basta avere una mail .....@gmail.com comunicatemela e provvederò ad autorizzarvi per caricare le foto nella galleria. 
2)Inviatemi le foto via mail, le caricherò direttamente io. 

Sani Luca


domenica 21 novembre 2010

VIDEO - IN THE HEART OF THE DOLOMITES.Dal Passo Giau (2236 m) al Monte Mondeval (2445 m)


By Michele Alfazulo

Il Monte Mondevàl è l'avancorpo meridionale della Croda da Lago e si eleva dall'omonima ed incantevole Alpe dove fu rinvenuta la sepoltura di un cacciatore mesolitico, risalente a circa 7000 anni fa, denominato per l'appunto l'uomo di Mondevàl.
L'escursione inizia dal Passo Giau (2236 m) e poi si prosegue verso Forcella de Col Pimbin (2239 m), dalla quale attraversando la prativa Val Cernera dove è possibile vedere numerose marmotte, si continua per un ripido sentiero fino a raggiungere Forcella Giau (2360 m), sovrastata dai Lastòni di Formin e dal massiccio del Cernèra.
Dalla forcella scendendo per il versante opposto s'incontra il piccolo Lago delle Baste (2281 m) e poi, risalendo per un dolce crinale erboso, si giunge alla vetta del Monte Mondevàl (2455 m). Da qui il panorama è a dir poco straordinario: dalla cima si possono ammirare oltre che ai vicini Lastòni di Formin, la Croda da Lago, il Becco di Mezzodì ed l'imponente Pelmo, le grandi montagne dell'area dolomitica quali la Marmolada, il Civetta, l'Antelao, il Sella, le Tofane, le Dolomiti di Sesto, d'Auronzo e dell'Oltrepiave, le Pale di San Martino ed il Lagorai. 

Buona visione.









giovedì 18 novembre 2010

Video - La ferrovia Bribano - Agordo

Dopo il primo post sulla ferrovia Bribano - Agordo, vedo che anche Giuliano Laveder, tra la moltitudine di foto, ha del materiale inerente alla purtroppo non più esistente linea ferroviaria.

Buona visione.







Video - Valle Imperina ai tempi d'oro





Un altro interessante foto-video by Giuliano Laveder

Buona visione.

domenica 14 novembre 2010

VAJONT 1963

La tragedia del 9 Ottobre 1963 vista da un addetto ai lavori che allora c'era.



Un interessantissimo libro sulla mai dimenticata tragedia che ha scosso l'Italia nel 1963, scritto in maniera impeccabile da Luigi Rivis, un Digomaner che ha vissuto in diretta questo  tragico evento.





Gli avvenimenti della vita mi hanno portato ad essere testimone diretto di alcuni fatti che precedettero e seguirono la catastrofe del 9 ottobre 1963, quando perirono quasi 2000 persone e. tra queste, alcuni amici e colleghi di lavoro dell' ENEL, tra cui il mio diretto superiore.
I fatti qui ricordati, anche se non hanno un valore rilevante, sono tuttavia dei micro tasselli che dovrebbero aiutare a completare una di quelle parti del mosaico della tragedia che, a mio giudizio ancora mancano.....






Questo libro si può trovare presso:
 -- Momenti "AICS" Editore
A.S.D. Intersum  Ergo Sum - VIa Vitttorio Veneto, 166 - 32100 Belluno
Email aicsbl@virgilio.it  tel/fax043733981 

di Voltago Agordino ( BL) 
Tel. +39/0437 669001

mercoledì 10 novembre 2010

L'ULTIMO PASTORE







L'ultimo pastore...

.....mi raccontava una sera, seduto nella sua macchina cabinata, che serviva da cucina, stanza da letto e salotto, che non capiva la nuova goventù. Lui da trent'anni passava le stagioni, le quattro stagioni con il suo gregge, a casa ci rimaneva poco, si spostava con il crescere dell'erba da una montagna all'altra, fermandosi alle periferie dei paesi, dove i contadini non falciavano più i loro prati perchè di contadini non ne aveva allevati questa stagione di occhialieri, tutti a lavorare a far occhiali nella più grossa fabbrica del mondo la famosissima Luxottica di Leonardo, leonardo secondo lui lo chiamava per non confonderlo con il grandissimo...e poi continuava, io arrivo mi fermo alcuni giorni, faccio pascolare le mie seicento pecore e poi via per un altro paese, finchè l'estate arriva ed allora salgo in quota, lì sui pascoli alti, dove l'erba è ancora bassa, ma con la stagione si fa, cresce, diventa folta e in quota vivo tutta l'estate, in un piccolo capanno in legno e dove la sera seduto sulla porta mi guardo l'apparire delle stelle. Ma mia figlia non trova marito, chi la sposa una che deve peregrinare assieme al padre ed al gregge che resterà suo alla mia morte, nessuno...dicono che ha il caratteristico odore della lana delle pecore, quando si bagna, dicono che non è alla moda, certo andar con le pecore non puoi portare le scarpe con i tacchi, ma guarda che mia figlia è istruita, ha fatto il liceo e poi ha una passione matta per il disegno, ma nessuno la guarda, sarà anche che noi ci spostiamo e lei non fa in tempo di avere un'amicizia....ma non so che decisione prendere, cosa faccio del mio gregge che mi è costato anni di sacrifici, io non posso abbandonarlo e però non posso neppure condizionare l'avvenire della mia unica figliola.
Non posso rispondere a questi pensieri che lui comunica a me, ma che sono pensieri che da pastore solitario ripete a se stesso, come un disco rotto, chissà quante sere di luna passate all'aperto lo fanno meditare sul suo futuro, cerco di incoraggiarlo, dicendo che:" se sarà amore vedrai che anche tua figlia troverà marito", ma lui non assorbe, se ne stà li, ammusonito...pensieroso...e poi d'un tratto sbotta, ...mi sa che sarò io l'ultimo pastore.

domenica 7 novembre 2010

IL TRENINO BRIBANO - AGORDO





Come si può intuire, vedendo la locomotiva, LB1 esposta in località le Campe, di fronte al complesso minerario di Valle Imperina... una volta, il treno arrivava ad Agordo. Esisteva infatti una piccola ferrovia, che collegava Bribano ad Agordo.. Gli ultimi segni che testimoniano la presenza del treno ad Agordo sono le gallerie ancora visibili in località Pont dei Castei, dove ora vi è la nuova lunga galleria subito prima di Agordo, arrivando da Belluno. 
Volete saperne di più? Clikkate QUI. 


Buona lettura.




Sani, Luca

venerdì 5 novembre 2010

Logo Dolomiti - UNESCO





Presentato presso la Provincia di Belluno, sede legale della Fondazione, il marchio che andrà a tutelare il bene Dolomiti - Dolomiten - Dolomites - Dolomitis UNESCO


Personalmente, non è che mi faccia impazzire, anzi.... direi che si poteva trovare qualcosa di meglio.
Sono graditi commenti in merito...

Sani, Luca

E' arrivato l'audio...

Da oggi, tutti gli articoli di Agnèr e Dintorni, si possono anche ascoltare.
Come potete osservare, è apparsa un’ icona blu accanto al titolo dei vari post, con un piccolo altoparlante e la scritta Ascolta.
Cliccandovi sopra, è ora possibile ascoltare il testo dell’articolo in un italiano corretto (salvo errori di battitura…), piuttosto sorprendente se paragonato alle robotiche voci dei vari sintetizzatori vocali. Si tratta di uno strumento molto utile, sia per chi ha difficoltà nella lettura, sia per quanti sono impegnati a fare altro e possono così limitarsi ad ascoltare specialmodo gli articoli più lunghi. Altro piccolo passo, per rendere Agnèr e Dintorni sempre più piacevole da visitare.


Sani, Luca.

giovedì 4 novembre 2010

LEGGENDE AGORDINE 1

La leggenda della"Val de Nagher"

La notte di Natale tre signorine di Sant'Andrea si avviarono per andare al Mattutino e presero la slitta. Si accorsero che sarebbe stato più allegro slittare tutta la notte invece di andare a rinchiudersi in chiesa e decisero senz'altro di fare così. Arrivate al "Cristo", la slitta senza nessun apparente motivo rallentò e si fermò. Davanti a loro apparve un bel giovanotto che si offerse di guidare egli stesso la slitta. Le ragazze accettarono ed ecco che improvvisamente la slitta esce di strada e si avvia a corsa vertiginosa verso il Sass de Peracuch. Le ragazze cominciarono ad avere paura e le ultime due che avevano in mano il libro da Messa e la corona del Rosario si sentirono d'un tratto sbalzare e rimasero atterrite a guardare la slitta nel folle volo. Essa, dopo aver iniziato la discesa della Val de Nagher, si era tutta infiammata. Al loro cavaliere, invece, erano spuntate due lunghe corna aguzze e nere e una lunghissima coda dal pennacchio di fiamma. Arrivato alla Val de Nagher, il diavolo, poichè era proprio lui, prese la povera giovane pei capelli e l'annegò nel gorgo più profondo. Ancor oggi, vicino al Sas de Peracuch, c'è un tratto di terreno non più largo di un metro, nel quale, assieme al fragore del torrente, si può sentire il grido soffocato della povera giovane!

.(Mattutino: messa di mezzanotte) .............................................................(S.Andrea, Peracuch, Cristo, Val de Nagher: località di Gosaldo)

Grazie al contributo di Jocondo Dalle Feste.
 
http://utenti.lycos.it/jocondo/index.html

mercoledì 13 ottobre 2010

La chiamerò ESTER



di Cherubino Miana

.....erano anni belli di una gioventù ancora in cerca di emozioni, ero appena tornato dalla Calabria e mi sembrava di scoprire un mondo nuovo, eppure erano i miei paesi dove ero cresciuto da bambino, i boschi che avevo percorso tutti i giorni alla ricerca di funghi per comprarmi i libri per la scuola,le piste da sci che avevo frequentato con gli sci forniti dall'esercito e smessi, perchè ormai consunti, dagli alpini delle caserme del Bellunese e dell'Agordino. Ero tornato insomma in luoghi vissuti e conosciuti a memoria, ma forse era lo spirito nuovo che mi animava, l'esperienza del sud caldo non solo nella temperatura, ma nell'affetto delle sue genti, nell'abbraccio che ti prendeva, nella loro dialettica che tanto mi era servita a sciogliere la mia chiusura di montanaro, ecco rivedevo la mia terra con l'entusiasmo di una rinnovata memoria più aperta, più osservatrice, più innamorata...ecco forse avevo imparato ad amare in modo sensuale la mia terra, il profumo dei suoi boschi, l'odore del letame delle malghe, il profumo dei fiori in primavera, il colore pastello dei boschi in autunno. Preso da questo entusiasmo che solo un amante riesce a sviluppare nelle sue sfacettature, mi lasciavo incantare e coinvolgere da tutto quello che passava nelle mie fantasie. Tra queste ero ritornato agli insegnamenti geologici del magnifico Prof. Antolini un personaggio che aveva percorso l'Africa in tutti i suoi anfratti e che la geologia ce la spiegava nel suo accento Trentino con inflessione inglese, ci parlava delle sue ricerche, delle sue delusioni e dei suoi successi e quel modo di insegnare era così coinvolgente che tu ti ritrovavi a pensare che si certo, anche tu nel tuo piccolo potevi prenderti la libertà di girare per i tuoi monti a fare delle ricerca e collezionare minerali e così entravi nel personaggio, pur essendo invece un semplice appassionato della tua terra con qualche conoscenza in più. Me ne andavo quando avevo tempo per i monti, in quelle zone dove mi avevano insegnato  geologicamente la natura era più interessante e ti poteva dare qualche soddisfazione.
I Monzoni erano una delle mie mete preferite, solo che non mi accontentavo di un sabato di una domenica talvolta prendevo la mia tenda, una canadese un po strappazzata e con lo zaino in spalla partivo, conscio di essere un esploratore, e camminavo, mi fermavo dove più mi sembrava di godere un panorama diverso e da lì partivo la mattina in camminate meravigliose. C'era una malga dove ero solito fermarmi, già allora i cartelli di divieto di campeggio erano numerosi, ma io mi fermavo trecento metri sopra la casera in un piccolo ripiano che mi riparava alla vista, cosìche della tenda spuntava solo un piccolo pezzettino della parte superiore che solevo mimetizzare con qualche ramo di abete. Il posto era magnifico, sopra, molto più su il Rifugio Taramelli, sotto la malga con un'ottantina di mucche da latte razza grigia austriaca, di quelle cioè che al massimo ti fanno una quindicina di litri di latte al giorni nei momenti dopo il parto, ma che poi sai che scendono fino a cinque sei litri, che non è proprio un lusso, solo che queste erano e sono delle arrampicatrici e quando il pascolo comodo diveniva più scarso riuscivi a farle salire più su dove l'erba cresceva a ciuffi tra le rocce. Ottanta mucche non erano una grossa malga, ma la rendevano più familiare e la mattina ti svegliavano verso le quattro con i loro campanacci,
mentre il malgaro Sergio e suo padre Olinto cominciavano la mungitura manuale. Padre e figlio erano dei contadini trentini di una valle vicina, di loro erano una trentina di mucche, le altre cinquanta le raccoglievano nella valle in genere nelle stalle vicino alla loro da contadini che ne avevano una o due per famiglia e che non avrebbero saputo come fare nel periodo estivo senza che le stesse salissero in malga. C'era inoltre un altro particolare, mi raccontava il vecchio Olinto, un ometto piccolino, un po storto con una leggera gobba che non capivo se era di nascita o se l'aveva creata il duro lavoro che aveva intrapreso sin da bambino dopo la terza elementare, ecco Olinto mi diceva che la neccessità di portare le mucche in malga era anche perchè generalmente dalle fattrici i contadini si aspettavano la nascita di un vitello verso novembre ed aver passato l'estate in malga, camminando lungo i ripidi pendii, rendeva il parto meno pericoloso perchè le mucche mantenevano un'elasticità maggiore in tutto il corpo, cosa che le rendeva meno pesanti e quindi dava meno preoccupazione quando il vitello sarebbe nato.
Sergio e Olinto curavano le bestie, le conducevano nei pascoli più alti e provvedevano alla mungitura, nella casera al resto provvedeva Ester ed i due figlioletti di sette e nove anni. Ester usciva poco dalla casera, il lavoro era molto, accendere il fuoco con i rami di larice non era sempre facile, specie quando pioveva e il legnatico per quanto protetto si bagnava, poi riempiva la grande caldera in rame del latte del mattino, mentre quello della sera prima raccolto nelle vasche e lasciato raffreddare durante la notte doveva essere scremato della panna, che poi raccolta in una pigna di legno, che i figlioli giravano manualmente con una manovella forniva quel burro giallo che lei poneva negli stampi con incise le stelle alpine e le genziane. Stampi da un chilo, dai quali usciva il pannetto di burro intero, con i segni di dove tagliare per dare uno, due tre etti agli avventori per lo più cittadini che venivano in ferie dal Veronese o dalla pianura Padana. Mentre i ragazzi giravano la pigna Ester, con un gran grembiule blu disegnato con un ciuffo di fiori da lei stessa nelle serate invernali, provvedeva alla cagliata strettamente da farsi quando il latte arrivava ai trentotto gradi, a mescolarla triturarla e poi chinandosi in avanti raccoglierla con uno stoffa di lino in forme che venivano pressate negli scatoli di legno. Era bello vederla con che agilità si metteva i due angoli della stoffa tra i denti e con le mani allargava gli altri due iin modo da raccogliere la cagliata triturata e riporla dentro gli scatoli e pressarla con le sue mani forti di contadina giovane,finchè il siero fosse uscito quasi del tutto, perchè diceva, se il siero non esce poi dentro rimangono i buchi e quando tagli il formaggi non sta bene. Ester l'avevo conosciuta per caso, in genere quando scendevo alla malga per il latte, per un po' di formaggio fresco o una ricotta affumicata era sempre Olinto che mi serviva, lui si sentiva il capo anche se aveva superato da poco i settant'anni e suo figlio doveva ancora subire  e stare ai comandi di questo uomo dagli occhi profondi di un marron scuro che ti entravano fin nell'animo. Ester stava dentro la casera illuminata solo dal fuoco del camino con le pareti annerite dal fumo, che non riusciva a sfogare tutto per il pur ampio camino in pietra che sboccava sul colmo del tetto, lì in mezzo alle scandole di legno, come un torrione che sputava fumo e scintille alle luci del primo mattino. Usciva solo ogni tanto sulla porta per spremersi quel fumo denso che le entrava nei suoi occhi azzurro chiari e che si schiarivano ancor di più quando le lacrime provocate dal bruciore li  andavano ad innondare e lavare. Allora si toglieva il fazzolletto a fiori che aveva in testa ed una lunga coda raccolta di cappelli biondi fluiva fuori incorniciandole il viso, lei si lasciava andare in un sorriso largo, aperto di donna che non potevi che amare a prima vista, con i cappelli
che le coprivano le orecchie piccole e quelle guance alte colorate dal calore del fuoco e dal sole del giorno. I bambini di solito la seguivano e li vedevi tutti tre assieme sulla porta della casera, stropicciarsi gli occhi finchè il fumo era uscito. Il più piccolo era simile a lei, biondo con gli occhi azzurro chiari ed un nasino all'insù sbarazzino e furbo, il più grande aveva invece la carnagione scura del padre e gli occhi scuri del nonno. Ester soleva parlare poco, non che volesse dimostrare distacco o che fosse intimidita, era una cosa che le avevano insegnato sin da piccola, diffidare un po' degli estranei e star sulle sue, anche se dal suo sorriso aperto capivi che dentro c'era una donna solare che avrebbe voluto dirti un sacco dei suoi pensieri. Finito il lavoro mattutino, lei aveva gia pronta l'acqua che bolliva per la polenta di Olinto e di Sergio che doveva essere pronta per le undici in modo che i ragazzini la potessero portare nei pascoli alti assieme al formaggio fresco ed al salame preparato nel periodo invernale, magari mescolato con un po di farina ed acqua e lasciato cuocere nella pentola piatta in modo da renderlo più morbido ed aumentare il companatico della polenta. Ecco quando aveva messo il tutto in due fazzoletti a quadri separati e con l'aggiunta di un quarto di vino rosso, lei poteva sedersi un attimo fuori della casera sulla panchetta di legno. Si prendeva il piatto sul grembo e lentamente si metteva a mangiare aspettando il ritorno dei figlioli. era il momento che potevi sederti di fronte e parlare un po dei suoi affetti o dei suoi propblemi, senza forzare, dovevi lasciare che si sciogliesse pian piano, che scegliesse con cura contadina i termini, con quel suo accento Trentino e quel sorriso che condiva il suo discorrere. era un'altra donna in quei pochi momenti, emergeva la donna vera che c'era in lei, la madre, la moglie e la nuora tutto assieme nel suo raccontarsi le fatiche quotidiane, senza lamentarsi, interrompendosi solo un attimo quando dalle labbra sembrava uscire qualcosa di sconveniente e poi riprendendo il discorso come se nulla fosse successo. Rientrava la ritorno dei figli ed allora la vedevi esprimere tutto il suo affetto materno, una carezza mentre i ragazzini stavano mangiando avidamente, una carezza a testa dava Ester perchè diceva, i figli erano suoi e nessuno dei due doveva essere privato di qualcosa a favore dell'altro. Ester era una donna saggia che pensava al futuro dei suoi figli, forse li immaginava già grandi, anche se come diceva, non aveva capito ancora le loro passioni, si le chiamava così, passioni, ma intendeva l'inclinazione che la natura aveva infuso in loro al momento della nascita. Poi verso le quattro quando rietravano le mucche
tutto ritornava nel ritmo giornaliero della fatica e del lavoro fino a sera quando all'imbrunire la minestra di riso con il latte appena munto o la polenta di mezzogiorno assieme alle croste di farina abbrustolite, riempiva la pancia per la notte. Ma poi quando i malgari stanchi si sedevano sulla panca ad aspettare che la brezza della montagna scendesse a rinfrescarli un po' prima della notte dal breve di sonno, Ester prendeva la fisarmonica che le aveva lasciato in eredità un vecchio zio, che aveva vissuto suonandola, girando per le fiere e le sue dita lunghe dalle unghie consumate si muovevano con una maestria indescrivibile sui tasti e bottoni. La musica correva tra gli abeti e arrivava fino alla tenda. Allora non potevi non scendere, sederti sulla sedia spagliata un po distante e mentre ai due uomini stanchi   scendevano le palpebre nell'invito al sonno, tu non potevi non guardarla questa donna di trent'otto anni che si era pettianta ed avea lasciato che i suoi capelli le arrivassero fin alle spalle e mentre suonava le brillavano gli occhi azzurri e la sua bocca si apriva leggermente lasciando intravedere il suo sorriso chiaro e profondo. Poi lei cantava, specie le vecchie canzoni, accompagnava la musica con una voce dolce e leggera in modo che le due cose non si coprissero l'una con l'altra e tu non potevi non innamorarti di quel quadretto, ma non lo dovevi dar da vedere, perchè i suoi uomini non avrebbero ammesso che un estraneo potesse amare anche solo spiritualmente una simile bellezza. Le sue guance pian piano impallidivano, la stanchezza del giorno si faceva sentire e l'aria della montagna cominciava a farsi fresca. Olinto si svegliava dal suo torpore e alzatosi lui tutto si fermava, Ester smetteva lentamente con le sue melodie, Sergio mugugnava una notte sottovoce e si arrampicava sulla scala pioli che portava nel sottotetto,
 seguito dai figlioli e per ultimo da Ester, mentre Olinto dormiva dentro la casera, non si fidava più di salire per quella scala ed allora s'era ricavato un angoletto vicino al fuoco del camino e lì anche se la notte rinfrescava lui riusciva a scaldarsi. Ci andai per alcuni anni preso da sentimenti contradditori, per loro ero diventato uno di casa, ero uno di loro, forse a pensarci ora dopo tanti anni mi ero un po innamorato di Ester ,del suo modo di essere di esistere e di trasmetterti senza farlo capire i suoi sentimenti, lo ricordai tanti anni dopo guardando il film "I ponti di Medison....", lo capii forse tardi seguendo la trama di quel film che mi emozionò, mi resi conto allora che si Ester forse era stata un amore impossibile per la sua freschezza e per come era sinceramente attaccata alla famiglia, ma questo non contava, contava quando ci pensai solo il dolce ricordo di quei giorni....   

(questa nota l'ho scritta dopo aver letto la nota Esterina di una carissima amica di fb.Lorenza Bonomi, ho aprofittato anche del nome abbreviato perchè è a lei che devo questo ricordo, che stavo perdendo e la ringrazio per avermelo riportato in superficie.)

domenica 10 ottobre 2010

Paesaggi e contrasti

di giorgio casera

Ho la fortuna di godere di un bellissimo panorama dalla mia casa in cima a “I Struz”. Situata appena sopra il “Pian de la Roda”, permette di vedere, da una parte, al di là del “Col de Carcòla”, la vallata agordina verso La Valle, il monte Celo sovrastante e, dulcis in fundo, la catena delle Pale di S. Sebastiano; dall’altra, Digoman, il “Poi” e le cime intorno al “Bus de le Neole”, sopra Rivamonte. (Ma non è certamente l’unico punto di Voltago da dove si possono ammirare stupendi panorami di montagna!)
Mi piace oltre che per l’aspetto estetico, anche per il senso d profondità che esprime (le montagne sono vicine e lontane allo stesso tempo, come si sa) e per come cambia luci e colori con l’andar del tempo durante la giornata. La sera, in particolare, non è raro vedere le cime di S.Sebastiano colorarsi di rosa, investite dal sole del tramonto, dietro il Col di Luna. Ovviamente il panorama è stato oggetto di numerose fotografie nelle varie condizioni.
E’ ormai un paesaggio familiare, anche se mai stancante, e così doveva esserlo per mio padre e per mio nonno, che hanno vissuto nella stessa casa. Ogni tanto mi capita di pensare alle sensazioni provate da mio padre quando, partito all’alba di un giorno della fine di gennaio del 1925, fresco di diploma di Perito Minerario, per affrontare il primo lavoro affidatogli, doveva approdare la sera del giorno dopo ad Ingurtosu, una miniera della Sardegna.


Col de Carcòla e cime S.Sebastiano in inverno

Mi piace immaginare che il giorno della partenza fosse uno di quei giorni d’inverno freddi ma luminosi, quelli in cui la neve acceca col suo bagliore e c’è assoluta mancanza di foschia nell’aria, così i contorni del paesaggio sono particolarmente nitidi. Così (come nella foto, ma con meno alberi sul Col de Carcòla!) doveva apparirgli il panorama sull’uscio di casa.
E non avrebbe potuto immaginare paesaggio più diverso all’arrivo a destinazione. Verdi ed aspre colline attraversate da strette valli, natura rigogliosa, a dispetto del pieno inverno, vegetazione fitta di arbusti e di macchia mediterranea (corbezzolo, olivastro, cisto, lentischio, mirto etc etc); unici alberi i pini marittimi piantati dalle maestranze per ricavare il legname per puntellare le gallerie. In lontananza, a pochi chilometri, vista del mare e delle dune di sabbia (oggi la spiaggia di Ingurtosu è diventata una zona turistica cult). In mezzo alla vegetazione scavi, impianti ed edifici della miniera, case di abitazione, distribuite a caso, edificate secondo la convenienza del momento (e la vicinanza con i pozzi della miniera attivi).


Veduta di Ingurtosu (particolare)

Ho vissuto anch’io là qualche anno dell’infanzia, tra gli anni ’40 e ’50 ed ho bei ricordi di quel periodo. Perciò ci torno (al mare) quando posso, almeno una volta l’anno. Oggi si può arrivare in Sardegna in poco più di un’ora (in aereo da qualsiasi aeroporto del Veneto). Però il contrasto tra i paesaggi (e lo stile di vita) è così forte che preferisco prendere il traghetto (che per me da Monza significa un viaggio di circa 18 ore): c’è più tempo per abituarsi al cambiamento!


Spiaggia di Ingurtosu

martedì 5 ottobre 2010

IL MONUMENTO DEI CADUTI DI RIVAMONTE AGORDINO


Nel 1922 il comitato pro caduti di Rivamonte incarica lo scultore Giacopini Giovanni di Pescantina di realizzare il monumento pro caduti a Rivamonte.
Il comitato chiese che fosse fatto di marmo di Val Policella con una statua di bronzo che rappresentava un fante che nella destra teneva un'arma e nella sinistra la vittoria alata.
Il monumento doveva essere collocato sul piazzale della chiesa e avere dodici scalini. I primi tre scalini del monumento furono ordinati allo scalpellino di Taibon Ben Vincenzo con ottima pietra della Valle di San Lucano, gli altri nove sarebbero dovuti essere realizzati in conformità al progetto dello scultore.
Il costo dell' opera (con il monumento però non più collocato in mezzo alla piazza e con un numero di scalini decisamente inferiore rispetto al progetto) fu di Lire 2.756,90. Il comitato finanziò l'opera con offerte ricevute dalla popolazione.
Fu poi organizzata una pesca per la raccolta fondi con materiale offerto dalla popolazione, tra il materiale c'erano: salami, fazzoletti di seta, orologi, bicchieri, galline, borsette, vasi di fiori, caffè, vestiti, statuine, cartoline e stoffa.
Vennero poi organizzati balli pubblici, con vendita di bevande.
Furono stampate cartoline raffiguranti l'inaugurazione e dei nastri.
Anche il comune diede un contributo.
Le offerte raccolte dal parroco Don Giovanni Ren durante
l'inaugurazione furono utilizzate per coprire i costi per la
realizzazione del monumento.

Tratto da: http://rivamonteagordino.blogspot.com/
Realizzato da G. Laveder ed Emilia Sommariva

venerdì 1 ottobre 2010

Roberto Schena: «Sinergie con enti e sodalizi»

Finalmente una buona notizia dall'Agordino e finalmente qualcuno (il presidente della Consulta Ascom) che lì auspica il ritorno al dialogo per migliorare la vita della comunità locale. Per caso qualcuno tra noi riuscirebbe a contattare il Sig. Schena per informarlo dell'esistenza di questo blog? Una persona che dice «Il nostro primo obiettivo è di muoverci in sinergia con tutti: amministrazione comunale, Pro loco, associazioni. Non si può continuare coi litigi, reciproche accuse: così non si costruisce» oppure «Dobbiamo fare in modo che la gente venga ad Agordo e siamo noi i primi a dover cambiare e a metterci in gioco. Ci stiamo provando, io sono ottimista» qui troverebbe buona compagnia e sarebbe bello se potesse informarci sulle sue future mosse e iniziative direttamente da queste pagine.
Intanto, cliccando QUI, vi rimando all'articolo di Gianni Santomaso apparso sul Corriere delle Alpi il 4 settembre 2010, dove potete leggere le interessanti dichiarazioni di Roberto Schena.

mercoledì 22 settembre 2010

Don Antonio Della Lucia

Penso possa essere interessante, oltre che utile, ricordare in questo sito la figura di Don Antonio Della Lucia, personaggio di spicco nato proprio all'ombra dell'Agner (Frassenè) nel 1824. Costui, figlio di povera gente, umili contadini, riuscì con l'aiuto dei compaesani a studiare e a divenire prete. Lui, uomo colto ed intelligente, già all'epoca capì che uno dei modi migliori, se non il migliore, per creare benessere in un territorio come quello dell'Agordino (e montano in genere), caratterizzato da tante piccole comunità separate e marginali, era quello di unirsi, di associarsi, di accrescere la propria forza lavorando e collaborando tutti assieme secondo il principio cristiano della solidarietà. Una solidarietà però non fine a sè stessa ma concreta, in grado di generare una ricchezza diffusa ed equamente distribuita. In 300 anime si può fare poco, in 600 già di più, in 1000 molto di più: questo in quanto le economie di scala abbassano i costi, si aumenta la voce in capitolo nei confronti delle istituzioni ed il proprio peso politco/economico agli occhi di chiunque, aumentano i capitali da poter investire, si creano sinergie positive, migliora la gestione del bene collettivo che per forza di cose deve essere mirata al lungo periodo e deve porsi degli obiettivi reali e concreti. Don Antonio è stato infatti colui che ha fortemente voluto e realizzato la prima latteria cooperativa d'Italia, sorta nel 1872 in quel di Canale d'Agordo. Se prima ognuno mungeva la propria vacca e faceva fatica a rivendere i propri prodotti ad un mercato microscopico e già saturo, grazie alle latterie cooperative i formaggi agordini si imposero su mercati sempre più ampli, riscuotendo grande interesse anche nelle esposizioni nazionali. Il successo della latteria cooperativa di Canale fu talmente vasto che il Ministero dell'Agricoltura promosse dei concorsi a premi per favorire la nascita di nuove cooperative e Don Antonio fu nominato Cavaliere. Egli, capendo perfettamente che per quelle zone era fondamentale superare le divisioni, si spinse oltre impegnandosi nell'associare tra loro le varie latterie sorte come funghi in quegli anni. I suoi sforzi non furono vani tanto che nel 1888 nacque la "Federazione delle Latterie Cooperative Agordine" alla cui presidenza fu chiamato egli stesso. Di conseguenza la produzione del latte crebbe, si diffuse l'allevamento di nuove razze bovine e, nel 1901, fu decisa l'apertura ad Agordo della sede generale della Società, il Palazzo delle Latterie Agordine (ora sede della Comunità Montana Agordina). A tutt'oggi viene riconosciuto a Don Antonio il grande merito di aver promosso lo sviluppo della sua terra d'origine e l'emancipazione economica e sociale della sua gente.

Cosa rimane nel 2010 del suo operato? Quale eredità ha lasciato agli Agordini? Vedendo quanti pascoli sono stati divorati dai boschi e quante poche vacche ci sono in circolazione, ma soprattutto notando come ogni comune, ogni paesino, per quanto minuscolo, si ostini a voler fare da sè invece di dialogare coi vicini, si direbbe che il tempo ha cancellato buona parte del suo insegnamento. Forse nel 2010, in un periodo in cui nessuno vuole sgobbare per lavorare la terra, è impensabile tornare a studiare forme di collaborazione in settori quali l'agricoltura e l'allevamento ma perchè non provare a ridare slancio economico e vitale all'Agordino realizzando in forma seria, strutturata, efficiente ed intelligente una pro-loco che abbracci tutte le località del Basso Agordino? Chi ha convenienza nel vedere invece l'attuale disgregazione, la totale mancanza di idee e di qualsiasi forma di promozione turistica di quel territorio che tanto avrebbe da offrire se solo sapesse far fronte comune? Oppure, perchè non associarsi in modo da creare delle segherie comunali che recuperino e taglino la legna dei propri boschi distribuendola poi ai residenti e rivendendo le eccedenze a prezzi di mercato in modo tale da ridurre i costi, mantenere ordine e pulizia dei boschi ed evitare il paradosso che ad Agordo, pur circondata da foreste fittissime, venga venduto legname proveniente dalla Slovenia? In fondo, Don Antonio Della Lucia ne è testimonianza, la gente del posto ha già conosciuto i grandi vantaggi dell'associazionismo.... Ecco perchè alle volte ripescare dal passato alcuni ricordi (e alcuni grandi personaggi) può solo che essere d'aiuto.

Per maggiori informazioni su Antonio Della Lucia vi rimando a Wikipedia. Se però qualcuno avesse ulteriori notizie riguardo alla sua persona e alla sua opera è caldamente invitato ad esporle in questa sede.

Rifugio Scarpa Gurekian - Frassenè Agordino

Ho trovato un bel video che descrive e racconta una delle principali e migliori risorse turistiche del basso agordino ma direi anche di tutte le Dolomiti. Il Rifugio Scarpa è un luogo dove è sempre bello tornare, dove ci si sente a casa, si mangia molto bene, si gode un panorama incantevole ed è il punto di partenza (ma anche di arrivo) di innumerevoli escursioni: dalle tranquille passeggiate nei boschi, alle traversate in costa, dai giri per le malghe, al sentiero naturalistico Miniussi fino alle più impegnative ascensioni (vie normali, vie ferrate, vie alpinistiche) nei gruppi dolomitici dell'Agner o della Croda Granda. Per non dimenticare le adrenaliniche discese in mountain-bike (down-hill) a tutta velocità lungo la ex-pista da sci oppure le ciaspolate fino, per far solo un esempio, al panoramicissimo Col di Luna! Un mio piccolo consiglio: non esistono solo la seggiovia o il sentiero CAI 771 per arrivare al rifugio, anzi vi invito a riscoprire i numerosi percorsi nel bosco (non numerati ma comunque evidenti e tracciati) che partono da Frassenè, da Bertoi o da Voltago e che potete trovare in qualsiasi mappa (ad esempio la Tabacco n° 22). La foto qui in parte, che potete scaricare nella sua dimensione originale cliccandovi sopra, è una cartina dei sentieri affissa accanto all'ingresso dell'ufficio turistico di Frassenè: come potete vedere c'è da sbizzarrirsi! E vi assicuro che i percorsi sono ben di più!

Ecco infine a voi il video: http://www.youtube.com/watch?v=3fGt605XEbY

Cliccando QUI potrete invece accedere direttamente al sito del rifugio Scarpa, contenente tutte le informazioni di cui potete avere bisogno.

lunedì 20 settembre 2010

2010: annata da incorniciare

di giorgio casera


Porcino

Le annate memorabili per il vino si definiscono annate da incorniciare!
Non si sa ancora come sarà la produzione per i vini quest’anno. Da quanto si legge le premesse sono buone, ma ora siamo nella fase forse più critica, quella della vendemmia. Vedremo, tra un mese si potranno tirare le somme.
Quello che si può già dire invece è che per i funghi è andata alla grande, in quantità e qualità.
Già a Voltago, tra ultimi giorni di agosto e primi di settembre, gli amici mi avevano raccontato di raccolte all’altezza delle migliori tradizioni. Come poi mi hanno ripetuto gli amici di Monza che frequentano Valtellina e Lecchese. Non so di altre zone (Trentino etc) ma sono sicuro che è andata bene anche là. Come dicevo, a Voltago c’è stata abbondanza, ma, almeno finora, selettiva.

Boletus luridus

Nella hit parade metterei naturalmente i porcini (boletus edulis, il più ricercato), le mazze di tamburo, i diffusi laricini e i porcini “mat”; non sono mancati peraltro funghi di specie meno diffuse ma altamente apprezzati dai gourmet, come il coprinus comatus. Assente, almeno finora, il secondo fungo più ricercato a Voltago, il gallinaccio (cantharellus cibarius), ma per questo, come per altri mancanti all’appello, c’è ancora un mese abbondante di tempo. Diamogli ancora una chance!

Coprinus comatus

mercoledì 15 settembre 2010

Notizie storiche su Voltago Agordino




                                                                             foto di Sergio Grosso


Grazie a Lino Fornaini


Nel libro " Grande illustrazione del Lombardo-Veneto" del 1858 si parlava così di Voltago:
Dirigendosi per l'altra via verso Agordo, si viene prima alle AURINE, dove in mezzo allo schisto, formazione del monte, si trovano pezzi di quarzo molto belli e tali che forse se ne potrebbe trarre un qualche partito. Continuando, in meno di un'ora si è a FRASSENE’ piccolo villaggio, aperto in ridente posizione e con bellissimi boschi di fronte: costituisce un Comune col sottoposto Voltago : ha parroco, e sul tener suo un' acqua leggermente ferruginosa, come altra simile scaturisce in guisa curiosa da più polle, da un masso marnoso che si spinge entro il torrente Sarzana nella località del Molin a Voltago. Chi s'immaginerebbe che in questo paesello.....
Vi interessa? il resto potete leggerlo cliccando QUI

martedì 7 settembre 2010

L'orso sul Monte Agner

Visto che anche in questi giorni, si fa un gran parlare parlare di orsi a spasso per i monti.
Ricordo che uno dei plantigradi si è fatto una passeggiata anche dalle parti dell'Agner, ripropongo cosi il video caricato a suo tempo nel vecchio blog,

Buona visione.

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lunedì 6 settembre 2010

L' Om Salvàrech



L' Om Salvàrech 
di Rivamonte Agordino

Tanto tempo fa viveva tra i boschi del monte Armarolo uno strano essere, nessuno l'aveva mai visto. Era un essere schivo, solitario, che viveva in piena sintonia con l'ambiente silvano.
L' aurea di mistero che lo circondava accresceva la curiosità dei valligiani, che si interrogavano vicendevolmente su come potesse essere questa strana creatura.
Un giorno di aprile, nella stagione in cui l'aria si fa più mite e fa dimenticare ai montanari i rigori dell'inverno appena trascorso, quando iniziano a spuntare i primi ciuffetti d'erba e il canto degli uccelli si fa più allegro, scoppiò all'improvviso un violento temporale, durante il quale lampi e tuoni facevano da padroni.
Mentre accadeva tutto ciò, in una piccola casèra ai margini del bosco un mite anziano, ormai ricurvo per il peso dei troppi anni, se ne stava accanto al larìn e puliva con pazienza da certosino il latte appena munto, toglieva uno ad uno i fili d'erba e le altre impurità del latte. C'era una gran pace intorno a lui, si sentiva solo la legna scoppiettare, ma all'improvviso la pesante porta di legno cigolò ed entrò proprio lui, l' Om Salvàrech.
Questi indossava un vestito fatto tutto d'erba, ma che, per l'abbondante pioggia caduta, era tutto inzuppato d'acqua.
Le sue intenzioni non erano cattive, voleva solo asciugarsi ed attendere, al riparo, che il temporale cessasse, così sedette vicino al fuoco.
Tra i due non ci fu scambio di parola, l'anziano montanaro si guardò bene dal fare qualsiasi domanda, perché così stabiliva la legge del bosco. e continuò il suo minuzioso lavoro. Quando il temporale cessò l' Om Salvàrech uscì dal suo casolare, ma ben presto rientrò portando con sé un fascio d'erba: era la stessa erba con cui egli era vestito.
Con questa pianta l' Om Salvàrech insegnò all'uomo a filtrare il latte, evitandogli così un lungo e noioso lavoro. La gente del posto chiama questa erba colìn, forse proprio per la funzione che da quel giorno assolse nel loro quotidiano lavoro di pulitura del latte.
L'insegnamento dell' Om Salvàrech fu un dono che egli fece all'uomo per ricambiare l'ospitalità da questi ricevuta in quel giorno piovoso di primavera.
Da allora l' Om Salvàrech ritornò ogni primavera tra la gente di Rivamonte, finché un giorno la popolazione lo attese invano: l'uomo della selva sparì improvvisamente, come improvvisamente s'era presentato ad uno di loro.
Ma la buona gente di montagna non volle dimenticarlo, così continuò a fare la festa in suo onore in primavera, il 25 aprile.

sabato 4 settembre 2010

El tocà da puina

di giorgio casera

Proposta per la ProLoco prossima ventura: la realizzazione di un ricettario della cucina tradizionale dei nostri paesi.
E’ capitato lo scorso anno a me e mia moglie di essere ospiti a pranzo di una coppia di amici di Voltago e di aver mangiato, insieme all’immancabile polenta, il tocà da puina. E' un intingolo (tocà) a base di ricotta affumicata sciolta nel burro (penso) con l'aggiunta di polenta liquida. L’ho trovato molto buono, un sapore nuovo, caratteristico, piacevole. Era la prima volta che lo assaggiavo e sono stato sorpreso quando la padrona di casa mi ha detto che era un piatto tradizionale di Voltago (ho scoperto poi che è un piatto comune alla cucina agordina), perché sia nell’infanzia sia negli ultimi anni di soggiorno vacanziero mai mi era capitato di trovarlo a tavola a casa o presso amici e conoscenti o nei ristoranti tipici della zona.


Era indubbiamente un piatto della cucina povera dei nostri vecchi, ma ora, con le tipiche rivisitazioni che fanno i nostri grandi chef, non mi meraviglierei di trovarlo in ristoranti come El Toulà di Cortina (a prezzi adeguati).
Penso che mettendo insieme qualche brava signora possano venir fuori almeno una ventina di ricette tipiche, in modo da costituire un prezioso volumetto, che ci permetterebbe di conservare la nostra cultura gastronomica e di diffonderla presso i nostri ospiti “foresti”.

giovedì 2 settembre 2010

L' Agordino e gli alberi...








Riguardando le foto de I Digomaner e altri gruppi vari, sempre sulla montagna.

Mi sorge un dubbio... (premetto che sono un grande amante dei boschi) secondo voi, nell'Agordino non ci sono troppi alberi? Mi spiego meglio, chi non è proprio giovanissimo, ricorderà, che Digoman, Voltago, Rivamonte, Frassenè, Gosaldo ecc.. ma il discorso vale anche per molti altri paesi della vallata del Cordevole e anche le più minuscole frazioni erano attorniate da meravigliosi prati, la cosa è ben visibile osservando qualche foto d'annata, scattata magari dall'Agner.

E' vero, anni addietro, parecchie famiglie avevano la stalla, ora non più. Quindi tenere falciati i prati, senza motivo diventa lavoro inutile, ma far arrivare il bosco fino davanti alle case trovo sia eccessivo, la montagna è fatta anche di panorami, il basso agordino li sta perdendo, coperti da un bosco selvaggio e non curato. Possibile che per avere un poca di visuale aperta, bisogni salire oltre la quota dove crescono le piante?


Voi che ne dite? Siete pro alberi o pro prati? Fate sapere cosa ne pensate...


Sani Luca


La discussione è aperta anche sul gruppo I DIGOMANER di facebook.