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"AUTUNNO" foto di Attilio Pietrogiovanna

AGNER e DINTORNI , vuole essere uno spazio a disposizione di abitanti e frequentatori di questi luoghi.
Ovviamente questo vale anche per associazioni, amministratori locali e per tutti coloro abbiano da proporre tematiche inerenti l'Agordino.
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mercoledì 13 ottobre 2010

La chiamerò ESTER



di Cherubino Miana

.....erano anni belli di una gioventù ancora in cerca di emozioni, ero appena tornato dalla Calabria e mi sembrava di scoprire un mondo nuovo, eppure erano i miei paesi dove ero cresciuto da bambino, i boschi che avevo percorso tutti i giorni alla ricerca di funghi per comprarmi i libri per la scuola,le piste da sci che avevo frequentato con gli sci forniti dall'esercito e smessi, perchè ormai consunti, dagli alpini delle caserme del Bellunese e dell'Agordino. Ero tornato insomma in luoghi vissuti e conosciuti a memoria, ma forse era lo spirito nuovo che mi animava, l'esperienza del sud caldo non solo nella temperatura, ma nell'affetto delle sue genti, nell'abbraccio che ti prendeva, nella loro dialettica che tanto mi era servita a sciogliere la mia chiusura di montanaro, ecco rivedevo la mia terra con l'entusiasmo di una rinnovata memoria più aperta, più osservatrice, più innamorata...ecco forse avevo imparato ad amare in modo sensuale la mia terra, il profumo dei suoi boschi, l'odore del letame delle malghe, il profumo dei fiori in primavera, il colore pastello dei boschi in autunno. Preso da questo entusiasmo che solo un amante riesce a sviluppare nelle sue sfacettature, mi lasciavo incantare e coinvolgere da tutto quello che passava nelle mie fantasie. Tra queste ero ritornato agli insegnamenti geologici del magnifico Prof. Antolini un personaggio che aveva percorso l'Africa in tutti i suoi anfratti e che la geologia ce la spiegava nel suo accento Trentino con inflessione inglese, ci parlava delle sue ricerche, delle sue delusioni e dei suoi successi e quel modo di insegnare era così coinvolgente che tu ti ritrovavi a pensare che si certo, anche tu nel tuo piccolo potevi prenderti la libertà di girare per i tuoi monti a fare delle ricerca e collezionare minerali e così entravi nel personaggio, pur essendo invece un semplice appassionato della tua terra con qualche conoscenza in più. Me ne andavo quando avevo tempo per i monti, in quelle zone dove mi avevano insegnato  geologicamente la natura era più interessante e ti poteva dare qualche soddisfazione.
I Monzoni erano una delle mie mete preferite, solo che non mi accontentavo di un sabato di una domenica talvolta prendevo la mia tenda, una canadese un po strappazzata e con lo zaino in spalla partivo, conscio di essere un esploratore, e camminavo, mi fermavo dove più mi sembrava di godere un panorama diverso e da lì partivo la mattina in camminate meravigliose. C'era una malga dove ero solito fermarmi, già allora i cartelli di divieto di campeggio erano numerosi, ma io mi fermavo trecento metri sopra la casera in un piccolo ripiano che mi riparava alla vista, cosìche della tenda spuntava solo un piccolo pezzettino della parte superiore che solevo mimetizzare con qualche ramo di abete. Il posto era magnifico, sopra, molto più su il Rifugio Taramelli, sotto la malga con un'ottantina di mucche da latte razza grigia austriaca, di quelle cioè che al massimo ti fanno una quindicina di litri di latte al giorni nei momenti dopo il parto, ma che poi sai che scendono fino a cinque sei litri, che non è proprio un lusso, solo che queste erano e sono delle arrampicatrici e quando il pascolo comodo diveniva più scarso riuscivi a farle salire più su dove l'erba cresceva a ciuffi tra le rocce. Ottanta mucche non erano una grossa malga, ma la rendevano più familiare e la mattina ti svegliavano verso le quattro con i loro campanacci,
mentre il malgaro Sergio e suo padre Olinto cominciavano la mungitura manuale. Padre e figlio erano dei contadini trentini di una valle vicina, di loro erano una trentina di mucche, le altre cinquanta le raccoglievano nella valle in genere nelle stalle vicino alla loro da contadini che ne avevano una o due per famiglia e che non avrebbero saputo come fare nel periodo estivo senza che le stesse salissero in malga. C'era inoltre un altro particolare, mi raccontava il vecchio Olinto, un ometto piccolino, un po storto con una leggera gobba che non capivo se era di nascita o se l'aveva creata il duro lavoro che aveva intrapreso sin da bambino dopo la terza elementare, ecco Olinto mi diceva che la neccessità di portare le mucche in malga era anche perchè generalmente dalle fattrici i contadini si aspettavano la nascita di un vitello verso novembre ed aver passato l'estate in malga, camminando lungo i ripidi pendii, rendeva il parto meno pericoloso perchè le mucche mantenevano un'elasticità maggiore in tutto il corpo, cosa che le rendeva meno pesanti e quindi dava meno preoccupazione quando il vitello sarebbe nato.
Sergio e Olinto curavano le bestie, le conducevano nei pascoli più alti e provvedevano alla mungitura, nella casera al resto provvedeva Ester ed i due figlioletti di sette e nove anni. Ester usciva poco dalla casera, il lavoro era molto, accendere il fuoco con i rami di larice non era sempre facile, specie quando pioveva e il legnatico per quanto protetto si bagnava, poi riempiva la grande caldera in rame del latte del mattino, mentre quello della sera prima raccolto nelle vasche e lasciato raffreddare durante la notte doveva essere scremato della panna, che poi raccolta in una pigna di legno, che i figlioli giravano manualmente con una manovella forniva quel burro giallo che lei poneva negli stampi con incise le stelle alpine e le genziane. Stampi da un chilo, dai quali usciva il pannetto di burro intero, con i segni di dove tagliare per dare uno, due tre etti agli avventori per lo più cittadini che venivano in ferie dal Veronese o dalla pianura Padana. Mentre i ragazzi giravano la pigna Ester, con un gran grembiule blu disegnato con un ciuffo di fiori da lei stessa nelle serate invernali, provvedeva alla cagliata strettamente da farsi quando il latte arrivava ai trentotto gradi, a mescolarla triturarla e poi chinandosi in avanti raccoglierla con uno stoffa di lino in forme che venivano pressate negli scatoli di legno. Era bello vederla con che agilità si metteva i due angoli della stoffa tra i denti e con le mani allargava gli altri due iin modo da raccogliere la cagliata triturata e riporla dentro gli scatoli e pressarla con le sue mani forti di contadina giovane,finchè il siero fosse uscito quasi del tutto, perchè diceva, se il siero non esce poi dentro rimangono i buchi e quando tagli il formaggi non sta bene. Ester l'avevo conosciuta per caso, in genere quando scendevo alla malga per il latte, per un po' di formaggio fresco o una ricotta affumicata era sempre Olinto che mi serviva, lui si sentiva il capo anche se aveva superato da poco i settant'anni e suo figlio doveva ancora subire  e stare ai comandi di questo uomo dagli occhi profondi di un marron scuro che ti entravano fin nell'animo. Ester stava dentro la casera illuminata solo dal fuoco del camino con le pareti annerite dal fumo, che non riusciva a sfogare tutto per il pur ampio camino in pietra che sboccava sul colmo del tetto, lì in mezzo alle scandole di legno, come un torrione che sputava fumo e scintille alle luci del primo mattino. Usciva solo ogni tanto sulla porta per spremersi quel fumo denso che le entrava nei suoi occhi azzurro chiari e che si schiarivano ancor di più quando le lacrime provocate dal bruciore li  andavano ad innondare e lavare. Allora si toglieva il fazzolletto a fiori che aveva in testa ed una lunga coda raccolta di cappelli biondi fluiva fuori incorniciandole il viso, lei si lasciava andare in un sorriso largo, aperto di donna che non potevi che amare a prima vista, con i cappelli
che le coprivano le orecchie piccole e quelle guance alte colorate dal calore del fuoco e dal sole del giorno. I bambini di solito la seguivano e li vedevi tutti tre assieme sulla porta della casera, stropicciarsi gli occhi finchè il fumo era uscito. Il più piccolo era simile a lei, biondo con gli occhi azzurro chiari ed un nasino all'insù sbarazzino e furbo, il più grande aveva invece la carnagione scura del padre e gli occhi scuri del nonno. Ester soleva parlare poco, non che volesse dimostrare distacco o che fosse intimidita, era una cosa che le avevano insegnato sin da piccola, diffidare un po' degli estranei e star sulle sue, anche se dal suo sorriso aperto capivi che dentro c'era una donna solare che avrebbe voluto dirti un sacco dei suoi pensieri. Finito il lavoro mattutino, lei aveva gia pronta l'acqua che bolliva per la polenta di Olinto e di Sergio che doveva essere pronta per le undici in modo che i ragazzini la potessero portare nei pascoli alti assieme al formaggio fresco ed al salame preparato nel periodo invernale, magari mescolato con un po di farina ed acqua e lasciato cuocere nella pentola piatta in modo da renderlo più morbido ed aumentare il companatico della polenta. Ecco quando aveva messo il tutto in due fazzoletti a quadri separati e con l'aggiunta di un quarto di vino rosso, lei poteva sedersi un attimo fuori della casera sulla panchetta di legno. Si prendeva il piatto sul grembo e lentamente si metteva a mangiare aspettando il ritorno dei figlioli. era il momento che potevi sederti di fronte e parlare un po dei suoi affetti o dei suoi propblemi, senza forzare, dovevi lasciare che si sciogliesse pian piano, che scegliesse con cura contadina i termini, con quel suo accento Trentino e quel sorriso che condiva il suo discorrere. era un'altra donna in quei pochi momenti, emergeva la donna vera che c'era in lei, la madre, la moglie e la nuora tutto assieme nel suo raccontarsi le fatiche quotidiane, senza lamentarsi, interrompendosi solo un attimo quando dalle labbra sembrava uscire qualcosa di sconveniente e poi riprendendo il discorso come se nulla fosse successo. Rientrava la ritorno dei figli ed allora la vedevi esprimere tutto il suo affetto materno, una carezza mentre i ragazzini stavano mangiando avidamente, una carezza a testa dava Ester perchè diceva, i figli erano suoi e nessuno dei due doveva essere privato di qualcosa a favore dell'altro. Ester era una donna saggia che pensava al futuro dei suoi figli, forse li immaginava già grandi, anche se come diceva, non aveva capito ancora le loro passioni, si le chiamava così, passioni, ma intendeva l'inclinazione che la natura aveva infuso in loro al momento della nascita. Poi verso le quattro quando rietravano le mucche
tutto ritornava nel ritmo giornaliero della fatica e del lavoro fino a sera quando all'imbrunire la minestra di riso con il latte appena munto o la polenta di mezzogiorno assieme alle croste di farina abbrustolite, riempiva la pancia per la notte. Ma poi quando i malgari stanchi si sedevano sulla panca ad aspettare che la brezza della montagna scendesse a rinfrescarli un po' prima della notte dal breve di sonno, Ester prendeva la fisarmonica che le aveva lasciato in eredità un vecchio zio, che aveva vissuto suonandola, girando per le fiere e le sue dita lunghe dalle unghie consumate si muovevano con una maestria indescrivibile sui tasti e bottoni. La musica correva tra gli abeti e arrivava fino alla tenda. Allora non potevi non scendere, sederti sulla sedia spagliata un po distante e mentre ai due uomini stanchi   scendevano le palpebre nell'invito al sonno, tu non potevi non guardarla questa donna di trent'otto anni che si era pettianta ed avea lasciato che i suoi capelli le arrivassero fin alle spalle e mentre suonava le brillavano gli occhi azzurri e la sua bocca si apriva leggermente lasciando intravedere il suo sorriso chiaro e profondo. Poi lei cantava, specie le vecchie canzoni, accompagnava la musica con una voce dolce e leggera in modo che le due cose non si coprissero l'una con l'altra e tu non potevi non innamorarti di quel quadretto, ma non lo dovevi dar da vedere, perchè i suoi uomini non avrebbero ammesso che un estraneo potesse amare anche solo spiritualmente una simile bellezza. Le sue guance pian piano impallidivano, la stanchezza del giorno si faceva sentire e l'aria della montagna cominciava a farsi fresca. Olinto si svegliava dal suo torpore e alzatosi lui tutto si fermava, Ester smetteva lentamente con le sue melodie, Sergio mugugnava una notte sottovoce e si arrampicava sulla scala pioli che portava nel sottotetto,
 seguito dai figlioli e per ultimo da Ester, mentre Olinto dormiva dentro la casera, non si fidava più di salire per quella scala ed allora s'era ricavato un angoletto vicino al fuoco del camino e lì anche se la notte rinfrescava lui riusciva a scaldarsi. Ci andai per alcuni anni preso da sentimenti contradditori, per loro ero diventato uno di casa, ero uno di loro, forse a pensarci ora dopo tanti anni mi ero un po innamorato di Ester ,del suo modo di essere di esistere e di trasmetterti senza farlo capire i suoi sentimenti, lo ricordai tanti anni dopo guardando il film "I ponti di Medison....", lo capii forse tardi seguendo la trama di quel film che mi emozionò, mi resi conto allora che si Ester forse era stata un amore impossibile per la sua freschezza e per come era sinceramente attaccata alla famiglia, ma questo non contava, contava quando ci pensai solo il dolce ricordo di quei giorni....   

(questa nota l'ho scritta dopo aver letto la nota Esterina di una carissima amica di fb.Lorenza Bonomi, ho aprofittato anche del nome abbreviato perchè è a lei che devo questo ricordo, che stavo perdendo e la ringrazio per avermelo riportato in superficie.)

3 commenti:

  1. che animo romantico caro Cherubino,e in questo mondo sempre più violento c'è bisogno di rilassarsi a leggere storie come questa,continua quindi,ti rinnovo l'invito fatto qualche tempo fa,ciao Lia

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  2. Come al solito bellissimo racconto: Cherubino è una certezza! Ma esistono malghe oggi che ti accolgano per qualche giorno, dove si possa staccare dalla città e sentirsi almeno per un pò dei veri malgari aiutando a portar al pascolo le vacche, a fare il formaggio e a vivere di poche semplici ma autentiche cose? Già è un mio desiderio, questa storia poi mi ha fatto crescere la voglia...

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  3. Che bella!Comlimenti Cherubino, è un piacere leggere le tue storie. Antonietta

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