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"AUTUNNO" foto di Attilio Pietrogiovanna

AGNER e DINTORNI , vuole essere uno spazio a disposizione di abitanti e frequentatori di questi luoghi.
Ovviamente questo vale anche per associazioni, amministratori locali e per tutti coloro abbiano da proporre tematiche inerenti l'Agordino.
E sopratutto vogliano promuovere tante lodevoli iniziative spesso note ai soli abitanti del paese in cui si svolgono!

Inviateci tramite e-mail il programma di quanto organizzate, con molto piacere, sarà inserito quanto prima su Agner & Dintorni..


venerdì 20 agosto 2010

I nonni di un tempo (prima, seconda, terza, parte)

Di Cherubino Miana

Son nato a guerra finita, forse nelle mie orecchie son rimasti i rombi degli ultimi aerei americani che ritornavano alle basi dopo aver bombardato la Germania, non tutte le bombe venivano scaricate sul suolo teutonico e quindi immagino che qualche pilota buontempone passando sulle nostre valli si divertisse a scaricarne qualcuna in mezzo ai nostri boschi...così per una bravata, ed io che mangiavo la pappa sul seggiolone fuori all'aperto non gradivo 'sti tuoni specie se mi lasciavano da solo. Il seggiolone era in legno, lo ricordo ancora, tinteggiato con una vernice azzurrina, se volevi lo piegavi in due e cosi ribassato aveva quattro ruote in ferro che ti permettevano di spostarlo senza fatica, sulla destra aveva un pallottoliere in legno con le sfere colorate con colori diversi...servivano per attirare l'attenzione e sviluppare l'intelligenza...io, a detta di mia madre, indicavo sempre la pallina rossa e stropicciando dicevo...iossa...cosa che faceva sorridere mio nonno Raffaele...chiamato dialettalmente da tutti Rafael e che lo faceva venir a sedersi sulla panca vicino a questo nipotino nato in casa sua, su nella camera alta subito sotto la soffitta dove si metteva a seccare il granturco e dove erano ammassate la via crucis in legno che un tempo, erano state poste lungo il viottolo che conduceva alla zona delle apparizioni del 1937. 

Lo ricordo bene questo nonno, serioso con un animo buono, ma che non voleva esternare i suoi sentimenti, fossero di gioia o di tristezza. Crebbi nella casa bianca grande del nonno e cominciai a muovere i primi passi sotto il grande noce che sovrastava l'ampia "cesura" con una ventina di meli di tipo diverso. Quel prato fu la mia prima palestra e un bernoccolo, che ancora mi è rimasto è proprio un ricordo di allora, quando cercando di correre senza esserne capace, con la pipa del nonno in mano, caddi e mi piantai il bocchino proprio lì sulla destra della fronte. Da quel giorno le pipe le lasciai a chi le usava. Nella grande famiglia patriarcale del nonno Rafael c'erano ben nove figli...certo uno lo aveva dovuto lasciare in un cimitero francese, morto per una semplice otite presa dormendo sotto il carretto dei seggiolai accuciato sopra un mazzo di paglia.
Erano rimasti in otto, tre maschi e cinque femmine a riempire quella grande casa dove ferveva una vita contadina intensa, con dieci vacche da latte, un grande fienile per la raccolta della fienagione ed un panorama che dava giù vero Agordo fino al paese posto all'ombra del monte Cielo...La Valle Agordina. Due eventi avevano segnato la vita di questo nonno dall'animo buono: la prima guerra mondiale che lui aveva fatta tuttta, compreso l'ultima battaglia sul Piave e le apparizioni della madonna, su proprio trecento metri sopra casa e nelle quali c'era intruppata una delle sue figlie, quella Elsa dall'animo dolce che per un periodo di tempo s'era portata anche le stimmate. Questi due eventi avevano inciso nel suo animo delle cicatrici che pur passando il tempo non si erano mai del tutto rimarginate. Lui non lo dava a vedere eppure quando, preso dal mio modo curioso di sapere, si abbandonava a questi pensieri mi rivelava il suo tormento interiore mai sopito.

GUERRA

Io ero curioso, specie quando lo vedevo pensieroso e gli chiedevo: Nonno stai pansando alla battaglia del Montello? Lui mi guardava sorpreso, quasi avessi letto il suo pensiero ed allora lentamente...misurando ogni parola iniziava...."Noi eravamo sulla sponda destra del Piave, lì dove ci eravamo attestati dopo il tradimento di Caporetto...io ero alpino...pioveva quei giorni ed il Piave si era fatto grosso....gli Austroungarici erano dall'altra parte e sparavano...sparavano...faceva una pausa come a prendere fiato....durò molti giorni...poi ci dettero l'ordine di un assalto alla baionetta...ed io a chiederli..ma tu hai ucciso qualcuno? La sua fronte si corruciava, un leggero velo di sudore la increspava e lui divantava improvvisamente triste...quando ci ordinarono l'assalto alla baionetta fu un vero macello...ci avevano stordito con delle bevande alcoliche...avevamo tutti paura, si doveva attraversare il Piave proprio lì dove ora c'è un isolotto chiamato l'isola dei morti, camminavamo sui cadaveri nostri e degli austroungarici e gli occhi non vedevano le facce di chi ti si parava davanti....avanti.... avanti.....! continuavano a gridarci per farci passare la paura....quando finì la mia divisa era rossa del sangue di 'sti poveri soldati austriaci, mandati anche loro al macello....lì si fermava ancora una volta.....estraeva dalla tasca dei pantaloni di velluto una corona marron mezzo consumata e diceva.......ora recitiamo sette avemarie e una salve regina per tutti questi morti e la sua voce si incrinava, l'occhio lo vedevi farsi leggermente vitreo e vinta la commozione iniziava...ave maria...


la sua faccia si volgeva verso il grande Cristo ligneo che era rimasto nonostante le scomuniche e gli improperi della curia...unico testimone di una stagione, quella del 1937 che aveva portato emozioni, speranze e dolori nelle famiglie del paese.


LE APPARIZIONI

Era il lontano 1937, le zone non boscate poste sopra il paese, si lassù subito a monte della grande casa bianca, erano di proprietà comunale e servivano per il pascolo estivo delle pecore che ogni famiglia cresceva in numero di tre quattro per la lana, che filata serviva per confezionare maglioni e quant'altro ed anche per gli agnelli che si macellavano per la Pasqua. Le pecore erano portate al pascolo dai ragazzi che la mattina frequentavano la scuola, ma al pomeriggio dovevano collaborare al sostentamento famigliare. Erano sempre cinque sei tra maschi e femmine ed avevano un gregge di circa una ventina di pecore. Risalivano lungo un viottolo, delimitato ai lati da sassi posti alla rinfusa, a mo' di muretto, proprio perchè le pecore non andassero a brucare l'erba nei prati dei vicini, erba così preziosa per la povera economia contadina.
Fu proprio in uno di quei giorni, che mentre badavano le pecore...apparve loro la madonna (vedi nelle note già pubblicate) e fu un dramma....la nostra gente non era preparata e si sa ste cose fanno paura ai curiali perchè, se poi risulta che non è vero, gli rovina il mercato che a loro è così caro e rende anche bene. L'inizio fu soft e molti ecclesiatsici si convinsero che la cosa era attinente alla verità....poi però entrarono in azione i pezzi da novanta della curia e riuscirono a distruggere quelle belle immagini che queste anime candide si portavano dentro. Fu il terrore...la scomunica generalizzata...ed allora essere scomunicati voleva essere additati come degli appestati....mio nonno non lo so esattamente come visse la situazione...ricordo però che lui ci credeva...tutti ci credevano nella famiglia e lontano da far rivoluzioni lui si chiudeva la sera attorno al focolare con figli e nipoti a recitare il rosario. Si doveva essere puntuali, prima il rosario poi il minestrone con la cotica di maiale, fatto bollire per ore sopra la stufa a legna. Non protestò mai contro i curiali, Lui non era un rivoluzionario, era un seggiolaio che aveva girato il mondo, Francia e Italia con il suo carretto, la paglia e la bicicletta dalle gomme piene e lui credeva, ma lasciava che il clero facesse le sue rimostranze ed accettava a testa bassa le vergognose imposizioni di chi Cristo lo usa per gli affari propri. Ancor ora a distanza di anni mi si rivoltano le budella, ma lui no, lasciò che le due figlie scegliessero la vita religiosa e ne ebbe ragione, quelle due ragazze definite, delle ignorantelle, dai burocrati Civili e Curiali, fecero molta strada. La zia Elsa (la veggente) per anni resse prima a Roma e poi a Maratea e Praia a mare le scuole private che andavano dall'asilo alle superiori, mentre la zia Angelica diventò madre generale dell'ordine ed aveva la responsabilità dei conventi sparsi in tutto il mondo sin nella foresta Amazzonica. Fu lei ad acquisire l'ospedale Cristo Re a Roma ed ad assumere i primari e curare tutta l'organizzazione, arrivò ad essere una collaboratrice di papa Woitila quando lo stesso doveva spostarsi all'estero ed aveva bisogno di conoscere il panorama delle case religiose sparse nel mondo. Mio nonno non ebbe la soddisfazione di godere fino alla fine questa rivincita sui curiali locali arrocati nelle farisaiche stanze del loro piccolo potere mercantile...ma fu una rivincita vera di un uomo dolce e dagli occhi tristi e pensosi, innamorato delle sue montagne e profondamente religioso nel senso vero del termine.PARTE SECONDA

Crebbi così, nella grande casa bianca sopra il colle,non c'era strada carrabile che ci arrivasse, ma solo un percorso fatto per le slitte che serviva estate ed inverno per trascinarvi il legnatico o il fieno. La casa non era tutta del nonno era divisa in due, in modo strano in quanto le stanze si intersecavano e le scale in legno erano comuni. In basso la caratteristica rotonda (caminaza) con il grande camino e la catena in ferro, la cucina era grande ma conteneva l'essenziale,sempre fredda per via di quel grande camino che si mangiava tutto il calore e dava su una cantina umida adatta sia per il formaggio che per la stagionatura dei salami. Una porta in legno si apriva su una stanza che da noi veniva chiamata "Stua", era uno stanzone foderato interamente da specchi e dorsi in legno di abete con nell'angolo la classica stube ad arco, dove potevi rifugiarti, tu bambino, per stare caldo ed il nonno per asciugare le ossa indolenzite dall'umidità dei tanti giorni passati nella nebbia quando percorreva le vie del Chianti o dell'Umbria a far sedie. In quella stanza viveva la vera intimità della famiglia in quanto,essendo l'unica riscaldata, tutti ci si precipitavano specie nel periodo invernale. La nonna con la sua ruota da filare aveva un posto specifico con la schiena che si appoggiava alla stube, il nonno ed uno dei figli erano quasi sempre i padroni della parte alta ed io mi ci ficcavo nel mezzo, sentendomi così, nello stesso tempo, coccolato, sicuro e riscaldato prima di affrontare il gelo della stanza da letto, su in alto sotto la soffitta. Quando eravamo tutti la stanza diventava quasi stretta,io mi accocolavo con la testa nel grembo del nonno e come al solito gli chiedevo il racconto di una storia della sua vita. Ma ognuno, anche la sera aveva un compito ben preciso, chi filava, chi lavorava a maglia, chi con passione di leggere riusciva a procurarsi qualche libro nella biblioteca della scuola...e mi ricordo come "Il Conte di Montecristo" fu letto, prima in silenzio, poi ad alta voce da una delle mie zie più appassionate alla letteratura, lasciandoci sbalorditi e tutti a commentare ed a dar ragione al conte ed alla sua implacabile vendetta. Ma l'inverno era anche il tempo in cui il nonno se ne partiva per fare le sedie, generalmente se ne andava l'autunno dopo aver finito lo sfalcio dei prati e la raccolta delle patate...Lui partiva e con lui si portava i figli maschi giovincelli perchè dovevano imparare il mestiere ed aiutarlo.

Era molto malinconico vederli andar via, ma mai vidi mia nonna versare una lacrima, quantomeno mentre gli altri la vedevano, era destino, partivano verso la metà di settembre e tornavano a casa verso la metà di giugno e nonostante quelle lontananze riuscirono a mettere al mondo nove figli. Allora non c'erano cellulari ed il telefono non sapevamo neppure cosa fosse, comunicavano tramite posta, una lettera al mese arrivava, una al mese era la risposta, ricordo che sin da bambino era un'ansia vedere arrivare il postino, guardare la calligrafia dell'indirizzo, con le lettere leggermente piegate a destra e riconoscere la mano del nonno...le sue lettere cominciavano sempre così " Cara Tina noi qui bene, così speriamo sia di voi....continuavano chiedendo notizie delle mucche del maiale, di quando era previsto che venisse ammazzato e si raccomandava sempre della giusta percentuale di sale da mettere nei salami e di struccarli bene, perchè altrimenti maturando e fermentando si faceva al loro inteno il bozzo e diventavano rancidi. La famiglia rimaneva quindi con le sole donne che dovevano assumersi la gestione della stalla e della casa, figli piccoli, mucche e maiale oltre alle numerose pecore. Poi c'era il pollaio al quale era generalmente addetta la nuora, pollaio che garantiva le uova per l'intera famiglia ed il pollo per il brodo esclusivamente per quando uno stava male. Una volta ogni tanto, con il treno fino a Bribano e poi con la corriera mandavano dalle zone del Chianti un recipiente di latta con dentro del miele, cosa che per noi era esclusiva in quanto gli appiari in montagna allora non erano tenuti, salvo che da un personaggio che tutti consideravano strano, ma che a ragion veduta era una persona più intelligente di chi lo prendeva in giro. Nella soffitta aperta al sole ed al vento c'erano le pannocchie di granturco, che raccolte e sfogliate l'autunno venivano raggruppate in mazzi e legate con un rametto flessibile e messe a seccare Era molto bello veder dal di fuori tutti quei mazzi di pannocchie gialle che si seccavano al sole di ottobre, poi l'inverno, nelle lunghe serate, quando il buio ci faceva rinchiudere in casa già verso le cinque pomeridiane, noi ragazzi assieme alle donne le dovevamo sgranare su un attrezzo fatto con un ferro piatto incurvato.

Le altre stanze non erano mai riscaldate e le finestre a vetro unico lasciavano passare gli spifferi del vento che ti facevano muovere persino le lenzuola, l'inverno, quando il gelo e l'umidità prendevano il sopravvento, i muri interni delle stanze, imbiancati con la calce, cominciavano a brillare di tanti cristallini che sembravano diamanti, era la brina che formava il fiato caldo che emanavano le persone che dormivano nella stanza, cristalli variegati con disegni particolari coprivano i vetri della stanza e tu non potevi neppur vederci più fuori tale era lo spessore del ghiaccio che si accumulava. Su un letto di legno c'era un materasso fatto di una stoffa universale a righe bianche e marron, come un sacco, riempito con le foglie secche del granturco, quando ti giravi era tutto uno scricchiolio di foglie ed ora mi vien da sorridere pensando quale fosse il canto del materasso quando gli sposi facevano l'amore, o la cosa era romantica oppure era un trauma. Le lenzuola erano fatte di un tessuto grosso di canapa, ruvido che ti grattava la pelle e sopra una coperta a trapunta con la lana delle pecore nostrane doveva bastare. Ricordo ancor ora quelle lenzuola, anche perchè la loro fatturazione proveniva da canapa che ogni famiglia si coltivava, che veniva seccata, sfibrata e successivamente portata con grosse gerle in quel di Rivamonte a circa cinque chilometri dove esisteva l'unico telaio di tessitura delle balle di canapa. Ti restituivano quel tessuto grossolano, ruvido con il quale prima si confezionavano lenzuola e tavaglie e con i resti piuù piccoli, gli asciugamani. Il freddo, dicevano per consolarti, che ti faceva crescere sano, in effetti mai mi ricordo di un raffreddore, neppure durante gli inverni più rigidi, solo che al mattino, cercavi di metterti le calze stando sotto le coperte e magari anche il maglione, così almeno riuscivi a temprarti. Gli inverni erano sempre molto duri, ma le persone in famiglia così numerose ti davano allegria e c'era sempre qualcuno che badava anche a te che eri piccolo. Poi, con la primavera, le zie ti portavano, appena la neve lasciava scoperti i grandi massi caduti un tempo dalla montagna, a veder nascere i primi boccioli delle viole e poi pian piano lo spuntare tra gli spessori di neve più sottile i primi bucaneve. Sapevi allora che la stagione si stava mettendo per il meglio e che il nonno a mesi sarebbe ritornato. Non aveva grosse valigie, anche perchè doveva caricare il tutto sulla bicicletta, ma al suo ritorno e lo faceva per me che sapeva che lo stavo aspettando sulla strada principale, si divertiva a prendere dei viottoli secondari in modo da lasciarmi sorpreso. Era sorridente il giorno del suo arrivo, generalmente si lasciava crescere i baffi nel periodo invernale, non lunghi s'intende, erano baffi che sentivi pungere quando ti prendeva in braccio per darti un bacio sulle guancie. Poi dal giorno dopo il rasoio provvedeva a togliere il tutto e lui tornava il nonno di sempre. I primi giorni dopo il suo ritorno era un'ispezionare tutte le zone dove c'erano animali, il controllare mucche e pecore, sempre con la sua mano nella mia ed in quei giorni parlava, controllava e parlava, parlava tra se, ma si rivolgeva a me come io capissi cosa intendeva dire, poi verso le tre del pomeriggio si sedeva sulla panca fuori casa dove si vedeva la catena di montagne

verso La Valle Agordina, mi faceva sedere sul suo ginocchio sinistro, sulle morbide braghe di velluto ed accarezzandomi i ricci mi faceva delle domande trabocchetto....come si divertiva vedermi interdetto ai suoi scherzosi discorsi. Ma poi i suoi pensieri ritornavano alle zone dove aveva trascorso l'inverno ed allora cominciava a raccontare....


Quarta parte.. http://agneredintorni.blogspot.it/2010/12/i-nonni-dun-tempo-quarta-parte.html


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