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domenica 13 gennaio 2013

EL BUS DE LE NEOLE

di Agostini Vincenzo

Era successo che un’astronave dalla forma strampalata, simile a un meteorite dello spazio, avendo perso la rotta ed essendo capitata per caso nell’orbita terrestre, aveva vagato a lungo nella termosfera, nella mesosfera e infine nella stratosfera. Il suo capitano, orecchie lunghe e occhi fuori dalle orbite, concentrato sulla plancia di comando, aveva cercato invano il posto adatto per un atterraggio di emergenza.
L’equipaggio, centinaia di cosmonauti a forma di sfera che rotolavano senza sosta da una parte all’altra dell’ astronave, immaginandosi la propria fine, si era ammutinato. Le luci di posizione, intermittenti come migliaia di frecce, illuminavano il cielo lasciando intravedere una massa scura che stava calando sulla terra, dentro un’atmosfera che si stava colorando di enrosadira.
Il capitano, persa ogni speranza di trovare una pista di atterraggio, stava pensando di rendere l’anima al suo creatore quando, a un tratto, scorse una buca che affondava nella roccia. Chiese al computer di bordo le coordinate e ne risultò una immagine identica all’astronave per larghezza, altezza e profondità, come se l’astronave fosse stata un masso erratico che, dopo aver vagato miliardi di anni luce nello spazio, stesse tornando al proprio posto. Allora il capitano, entusiasta della scoperta, accese i razzi di decelerazione, fece una manovra da manuale e incastonò la sua perla preziosa nella croda.
Da lontano nulla era cambiato in cima alla Val Pegoléra e probabilmente sarebbero trascorsi molti anni prima che qualcuno si accorgesse che il Bus de le Néole era stato ostruito da un macigno se non fosse successa un’altra cosa, molto più tragica e molto più crudele.
Successe infatti che le nuvole, essendo stato chiuso il Bus de le Néole, non riuscivano più a salire in cielo. Successe che il cielo delle Dolomiti era perennemente sereno mentre le valli, prima la val Pegolera, poi la val Cordevole, la val Belluna e anche la val Padana, erano perennemente avvolte da una nebbia di nuvole così densa che non si riusciva a tagliarla nemmeno con il coltello. Inutile dire quanto gli umani fossero preoccupati per un cambiamento del clima così così inspiegabile e, almeno all’apparenza, così definitivo. Inutile descrivere come, data l’improvvisa diminuzione della visibilità, fossero centinaia i morti sulle strade, migliaia i turisti che disertavano, milioni i posti di lavoro che se ne andavano perché il lavoro non c’era più.
Un bel giorno di nebbia fitta fitta come oramai succedeva da molti mesi, le competenti autorità inviarono in val Pegoléra un manipolo di volontari in esplorazione, ché se lì c’era il problema, lì ci doveva essere la soluzione. Erano uomini vestiti da croda, con il casco, gli scarponi e due tiri di corda che avrebbero potuto sempre servire. Dopo una lunga marcia di avvicinamento, dopo innumerevoli bivacchi e improvvisi cambi di prospettiva, gli esploratori giunsero sotto il Bus de le Néole, là dove si era condensata una coltre di nebbia di nuvole così fitta che dovettero spalarla con il badile. Dentro il Bus, perfettamente mimetizzato – una cosa sola con la roccia tanto che gli crescevano addosso i pini mughi - videro un masso erratico a forma di astronave. O forse era un’astronave a forma di masso erratico, fatto sta che presero tanta paura.
Gli esploratori, non sapendo cosa fare, trattandosi di una situazione che non era stata affatto prevista dalle loro regole di ingaggio, aspettarono che arrivasse la notte. Poi, in silenzio, iniziarono a scalare il Bus de le Néole che Bus non era più. Non appena il capocordata diede un colpo di martello, però, il sasso iniziò a lampeggiare di luci e di colori. Sirene a distesa squarciarono le tenebre di Voltago, di Frassené, di Rivamonte e della Piana di Agre. Il capitano dell’astronave, svegliatosi di soprassalto, andò sulla plancia di comando e vide la cordata di uomini che lo assaltavano. Chiese istruzioni al computer di bordo e il computer, dopo complicate analisi trigonometriche e calcoli a non finire, emise un algoritmo di sentenza dove c’era scritto che quegli uomini non erano nemici e che, data la fatica che avevano fatto, andava concessa loro udienza.
E fu così che il capitano ordinò di spalancare il portellone dell’astronave. Gli esploratori, guardinghi a più non posso, chi recitando l’atto di dolore e chi pizzicandosi per la meraviglia, avanzarono con i caschi sotto il braccio. Avevano gli occhi sbarrati e tutti, chi più e chi meno, tremavano. Al capitano, avvolto di luci e di ombre, cercando di trattenere la commozione, dissero che dopo che era stato tappato il Bus de le Néole non era più vita. Che non vedevano più niente, ma proprio niente! Dissero che mancava loro il sole, l’acqua, il fuoco, che mancavano i sorrisi dei vecchi e le lacrime dei bambini. Dissero che avevano perso la speranza e che la speranza, per via della nebbia, non riuscivano più a trovarla. Gli esploratori, infine, facendosi coraggio l’uno con l’altro, implorarono il capitano affinché facesse qualcosa di buono. Altrimenti, mancando il collegamento fra la terra e il cielo – perché questo era il Bus de le Néole: terra e cielo allo stesso modo e allo stesso tempo – il genere umano era destinato a finire.
Il capitano si avvicinò al computer sbadigliando e si fece mostrare dalla macchina del tempo la storia degli uomini. Sia la storia grande della Terra che quella più minuta di Voltago, di Frassené, di Rivamonte, della Piana di Agre, della Val Codevole, della val Belluna e della val Padana.
Poi si avvicinò agli uomini e li guardò negli occhi, in profondità. Aggiustandosi il mantello di acciaio domandò cosa volessero possedere, sulla Terra, che non avevano ancora posseduto. Gli uomini, presi alla sprovvista, non seppero cosa rispondere. Allora il capitano disse che era venuto il tempo di abbassare lo sguardo e di guardare soltanto dentro sé stessi, sempre in profondità; che questo era quello che lui stava facendo e che gli umani dovevano fare la stessa cosa. Disse che secondo il computer di bordo un periodo di nebbia era salutare affinché gli uomini potessero riprendere ad aguzzare la vista come gli uomini primitivi, per distinguere le cose che valgono da quelle da buttare, la bellezza dalla disgrazia, la virtù dalla corruzione.
Ordinò dunque agli uomini che andassero a riferire come di competenza, ché la nebbia sarebbe durata ancora per molto: se per giorni, per secoli o per millenni, questo dipendeva da loro. Aggiunse, osservando la realtà da un oblò di roccia scura, che qualora gli uomini fossero tornati per insistere, sarebbero stati spazzati via perché un conto è vivere sulla Terra, un altro conto è vivere sulla Terra come vivere nel cielo. Il capitano, infine, accarezzandosi il mantello di acciaio e sorridendo perché nel Bus de le Néole si sentiva come a casa sua, aggiunse che non appena gli uomini avrebbero ricominciato ad amare la Terra, ecco, allora sarebbe decollato nello spazio siderale e non si sarebbe più fatto vedere: le nebbie si sarebbero dissolte e gli uomini, finalmente, avrebbero potuto riguardare il cielo attraverso il Bus de le Néole.
Ancor oggi, in val Pegolèra, accade uno spettacolo come a sedersi in una platea di montagne, in prima fila. Enormi nubi si rincorrono evaporando, si abbracciano e fumano nel cielo attraverso il Bus de le Néole. È una rappresentazione senza tempo e senza peccato che accade dove Terra e Cielo si confondono e diventano una cosa sola. Dell’astronave, e del suo capitano dal mantello di acciaio, non restano più tracce. Restano invece, qua e là, rari esploratori che amano la Terra perché nella Terra tutto si confonde; esploratori che godono del cielo mitico e irripetibile, e del premio, che si intravede attraverso la crepa del Bus de le Néole.


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