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"AUTUNNO" foto di Attilio Pietrogiovanna

AGNER e DINTORNI , vuole essere uno spazio a disposizione di abitanti e frequentatori di questi luoghi.
Ovviamente questo vale anche per associazioni, amministratori locali e per tutti coloro abbiano da proporre tematiche inerenti l'Agordino.
E sopratutto vogliano promuovere tante lodevoli iniziative spesso note ai soli abitanti del paese in cui si svolgono!

Inviateci tramite e-mail il programma di quanto organizzate, con molto piacere, sarà inserito quanto prima su Agner & Dintorni..


giovedì 31 marzo 2011

El barba Oreste

di giorgio casera

Lo ritrovavo tutti gli anni in estate quando venivo a Voltago a trascorrere le vacanze scolastiche nella casa dei nonni, ai Struz, dove ancora abitava la famiglia di mia zia. Mi riferisco agli anni ’50.
Lui era rientrato al paese a primavera inoltrata, come tanti, dopo aver trascorso parte dell’autunno e l’inverno in giro per l’Italia a fare il contha e, negli anni più recenti, in Svizzera per svolgere qualsiasi lavoro disponibile. Il periodo del rientro al paese doveva essere impiegato per lo svolgimento dei lavori agricoli, il più importante dei quali era lo sfalcio dei prati per assicurare l’alimentazione del bestiame nei mesi freddi. Un “rito” comune a tutte le valli alpine (allora!).
Da studente delle medie e abitante in città ero abbastanza affascinato dai lavori in campagna e mi offrivo sempre come aiuto per le varie attività. Naturalmente mi venivano assegnati i compiti più semplici, ma a me andava bene, sentivo di partecipare.
Tra le altre cose, mia zia possedeva un bel prato a Grel, esposto a sud, quindi molto solatìo, che cominciava sotto la strada che porta da Calincros a Cerve, dove era piuttosto ripido, e terminava in basso quasi pianeggiante, proprio sopra Miana (superfluo dire che quel prato è diventato col tempo una boscaglia inestricabile…). Siegà quel prato era bello impegnativo, ma anche il fieno che se ne otteneva era abbondante e di buona qualità. Ogni anno anch’io ero coinvolto nell’impresa.



Il falciatore di E. Cappelli

Partivamo dai Struz, l’Oreste ed io, verso le cinque, all’alba, per arrivare a Grel in 10 – 15 minuti.
E ci mettevamo subito all’opera, l’Oreste con la falce ed io dietro a spande. Lavoravamo in silenzio, l’unico rumore quello del taglio dell’erba o il verso di qualche uccello di passaggio. Trascorreva così l’intera mattinata, interrotta solo dalle soste necessarie per guà la falce, e verso le 11 avevamo già fatto la maggior parte del lavoro.
A quell’ora arrivava mia zia accompagnata da mia cugina. Portavano, oltre ai rastrelli con cui ci avrebbero aiutato dopo pranzo per le successive operazioni di fienagione, un darlin con il pranzo. A questo punto interrompevamo il lavoro e ci radunavamo tutti sotto un isolato e maestoso pez, dove l’Oreste aveva rasato l’erba con la falce, e mia zia stendeva una tovaglia bianca candida disponendovi sopra le pietanze, l’immancabile polenta. ancora calda, con uno spezzatino di pollo o coniglio, pomodori di contorno, pratici da trasportare, salame e formaggio di riserva, non si sa mai, acqua e un fiasco di vino.
L’Oreste si sedeva allora sull’erba “a capotavola” e noi tutti intorno alla tovaglia. A busto eretto, mangiava lentamente e con grande dignità. Il lavoro da completare era “fuori dalla tavola”. Sembrava celebrare un antico rito, la pausa del lavoro quotidiano, il ritrovo della famiglia, il consumare il pasto tutti assieme, come un re contadino. Avendo cominciato la mattina molto presto io mangiavo come un ragazzo affamato, lui metodicamente ma senza fretta. Il pasto così durava a lungo, c’era lo spazio per le chiacchiere e, ogni tanto, per un’occhiata all’andamento del tempo meteorologico.
Finito il pranzo, mentre io, la zia e la cugina ci mettevamo a oltà il fieno, l’Oreste si concedeva una pennichella al fresco sotto l’abete. Infine, sveglio, ci aiutava a completare le operazioni della giornata. Nel tardo pomeriggio rientro a casa e poi l’indomani saremo ritornati a completare il lavoro con la raccolta ed il trasporto del fieno. Una vita regolata dalla natura.
Pensavo ogni tanto al barba Oreste quando, molti anni dopo, in qualche bar nei pressi del cosiddetto “Centro Direzionale” di Milano (presso la Stazione Centrale e il grattacielo Pirelli) consumavo un panino, farcito di qualche gustoso ma strano ingrediente e preparato da un simpatico barista napoletano, sorseggiando un calice di bianco gradevole ma di provenienza incerta. Un pasto veloce, con in testa i problemi sorti nella mattinata e le ipotesi di soluzione da applicare nel pomeriggio. Pensavo: “E’ stato vero progresso? Si, certo. Obiettivamente… mah…”

3 commenti:

  1. Grazie Giorgio, è sempre piacevole leggere di quando eravamo bambini e la vita aveva altri ritmi e altre priorità. Sicuramente il progresso ha portato un miglioramento nella vita materiale, oggi si mangia a ufo, si sta al caldo d'inverno, al fresco d'estate e tante altre comodità più o meno importanti. Mi mancano però quelle cose semplici di cui hai appena parlato tu, semplici ma importanti, che oggi, nella convulsa vita moderna, non esistono più. Qualunque cosa accada quest'estate quando sarai ad Agordo verrò a trovarti, ho sempre un conto aperto con l'Agner e non mi sono dimenticato la promessa di portare qualche bottiglia di Prosecco per una colazione assieme. A quest'estate...ciao Ago

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  2. In questi giorni ho ripreso in mano il libro di Corona " La fine del mondo storto" (anche troppo disfattista per i miei gusti) aggiungiamoci i fatti accaduti in questo periodo, Giorgio ora leggo queste tue belle righe e tutto ciò mi fa effettivamente pensare.. se la via presa sia giusta e non valga la pena fermarci un'attimo a riflettere. Certo che a tornare indietro... non saprei dire quanti sarebbero disposti a farlo.
    Grazie per questo tuo ennesimo bellissimo contributo.

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  3. Credo anch’io che nessuno vorrebbe tornare indietro, Luca, forse qualche inguaribile utopista (se ce ne sono ancora…), però penso che un’analisi delle vicende degli ultimi 50 – 60 anni sia utile perché può aiutarci a programmare meglio il futuro. Indubbio che questo tempo abbia rappresentato un progresso, ma, ahimè, non omogeneo. Come ci ricorda Luigi, la tecnologia ha fatto passi da gigante ma altrettanto non ha fatto il nostro rapporto con il mondo che ci circonda (penso alla natura, ovviamente, ma anche alle persone), come pure il senso civico, o l’equilibrio tra diritti e doveri. Ma il discorso ci porterebbe lontano…
    A proposito di tecnologia, dopo aver “masticato” per anni di hardware e software, il concetto wetware mi giunge nuovo: vuoi vedere che riuscirò a vedere computer con i pannoloni? La prossima volta chiederò dettagli a Luigi.
    Ad Ago mando il mio saluto ricordandogli che l’aspetto sempre a Voltago.
    Saluti
    Giorgio

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